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La Caverna Iniziatica di Platone

Miei cari Fratelli, il nome di Platone nel titolo di questa Tavola mi impone di antecedere alcune riflessioni sul rapporto tra simbolismo e filosofia, tra mito e allegoria, prima di addentrarci nella Caverna Iniziatica.

È bene ricordare, per tramite delle parole di Guénon, che “i filosofi non possono far altro che  servirsi di parole, e le parole in sé stesse, non possono essere nient’altro che simboli; è dunque in un certo modo la filosofia a rientrare, anche se del tutto incoscientemente, nel campo del simbolismo, e non  l’inverso”.

Il pensiero discorsivo proprio della filosofia rappresenta uno dei sui principali limiti, laddove il simbolismo edifica sull’intuizione trascendentale il passaggio oltre questa barriera del razionale offrendoillimitate possibilità, costituendo il modo d’espressione per eccellenza del nostro insegnamento iniziatico.


Una di queste espressioni può essere rappresentata dal “mito”, seppure nella degenerazione  storica del linguaggio i miti possono essere a volte racconti simbolici, come possono esserlo le parabole, le favole, le allegorie, così come “il mito della Caverna di Platone”.

Ed è qui che si apre la prima deviazione simbolica di questa Tavola rispetto al dialogo filosofico del Libro VII de La Repubblica di Platone.  Se la radice di “favola” indica la parola, quella di “mito” indica, al contrario, il silenzio (dal greco muthos, mito, deriva dalla radice mu, e quest’ultima rappresenta la bocca chiusa, e di conseguenza il silenzio, mentre in latino mutus, muto). Così come l’allegoria platonica, come quella del racconto della Caverna, rimanda ad una rappresentazione di natura “politica-filosofica-morale”, in cui è lo stesso Platone a spiegarne il significato, sia sotto il primo ermeneutico sia epistemologico, è lo stesso filosofo a ricorrere al mito quando espone concezioni che vanno al di là delle portate dei mezzi dialettici.

Con l’allegoria il mito condivide l’etimologia della prima, ossia “esprimere una cosa diversa da quello che si sta rappresentando” e, nel caso della Caverna, un’immaginazione, un’astrazione personificata per tramite di un racconto suggestivo con funzione gnoseologica.

Abbiamo invero bisogno del simbolismo per dare voce al “silenzio” del mito che rappresenta idee o cose che non sono esprimibili attraverso il linguaggio ordinario, a causa della loro stessa natura. Suggerire l’inesprimibile, di farlo presentire, o meglio emergere, in virtù di trasposizioni di ordine e grado, questa è la funzione del simbolismo laddove si voglia cercare-ricercare un significato massonico nella Caverna Iniziatica di Platone, per vedere e sentire tra le parole e oltre le stesse il nostro percorso iniziatico.

Questo mio lavoro si muoverà quindi su più piani e più livelli di comprensione massonica, nel rispetto degli “spazi, dei “tempi” e delle “misure” proprie degli strumenti simbolici del I° grado di Apprendista, ma con semi di trascendenza per chi avesse “occhi” e “orecchie” già mature per età muratoria.

In questo celebre dialogo tra Socrate e Glaucone, Platone ci consegna in forma allegorica l’immagine della caverna quale rappresentazione della condizione umana, una rappresentazione mitica e mistificata al contempo, archetipo primitivo e moderno di un percorso di conoscenza e di scoperta dell’uomo tra ciò che è Illusione e ciò che è Verità.

“Paragona la nostra natura, in rapporto all’educazione e alla mancanza di educazione, a una condizione di questo tipo”, così inizia Socrate chiedendo a Glaucone di immaginare una caverna oscura sotterranea in cui all’interno vivono, fin dall’infanzia, alcuni uomini incatenati così strettamente da non poter neanche voltare la testa.

Alle spalle di costoro, in alto e lontano da loro, fa loro luce un fuoco acceso e “tra il fuoco e i prigionieri passa in alto una strada, e immagina” continua Socrate “che lungo di essa sia stato costruito un muretto, simile ai parapetti che i burattinai pongono davanti agli uomini che manovrano le marionette mostrandole, sopra di essi, al pubblico.” Dietro a questo muro, altre persone tengono in mano degli oggetti (statuette di animali e di uomini e altri oggetti di ogni genere) e li fanno sporgere al di sopra del muro. La luce del fuoco, illuminando gli oggetti trasportati, crea ombre sul fondo della grotta, che possono essere percepite come oggetti reali da quegli uomini incatenati.

“Pensi innanzitutto che essi abbiano visto, di sé stessi e dei loro compagni, qualcos’altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte?” “E se la prigione avesse un’eco dalla parete verso cui sono rivolti, ogni volta che uno dei portatori parlasse, credi penserebbero che a parlare sia qualcos’altro se non l’ombra che passa?” sono queste le domande che Socrate sottopone a Glaucone.

Di fatto, quelle ombre e quelle voci, sarebbero l’unica realtà che i prigionieri abbiano mai visto e sentito, costretti nel loro essere incatenati a senza potersi voltare, credendo che quelle ombre siano oggetti reali. “Insomma questi prigionieri» chiosa Socrate «considererebbero la verità come nient’altro che le ombre degli oggetti artificiali.» E se in senso classico-pagano, la caverna è il regno delle ombre, un mondo di natura inorganica (rocce) o letargica, un luogo d’origine di un’esistenza senza vita, in termini platonici, la caverna rappresenta la metafora del mondo materiale, del mondo dell’’ignoranza generata e alimentata dal proiettarsi di ombre intellegibili senza ragione e spirito, giacché coperta dal velo dell’illusione e dell’apparenza, quasi onirica.

Ed è in questo regno, nell’elemento Terra della Grotta che si svolge il primo Viaggio iniziatico del Recipiendario, nel Gabinetto di Riflessione.

Nell’illusione delle ombre scambiate per certezze, in uno spazio fermo e sempre uguale a sé stesso, anche il Profano-Prigioniero della Caverna vive la sua quotidianità, in un tempo sospeso, con echi lontani di un mondo che lo vive in senso panottico, dato che al Profano non è mai stata data la possibilità di voltarsi per “vedere” cosa vi sia “dietro” la sua testa, ovvero la sua mente profana. False convinzioni e facili illusioni, paure e debolezze umane e profane, rappresentate nel Gabinetto di Riflessione per tramite di raffigurazioni simboliche e metaforiche, insieme all’invito del V.I.T.R.I.O.L.: trovare la pietra nascosta, l’essenza primordiale sulla quale costruire un uomo nuovo, liberato dal proprio ego, dalle limitazioni della materialità profana e dai suoi metalli.

A questo punto dell’allegoria Socrate chiede a Glaucone di immaginare che uno di questi prigionieri sia improvvisamente liberato dalle catene, costretto ad alzarsi, girarsi e portato alla luce verso l’entrata della caverna. “Se ancora lo si obbligasse a rivolgere lo sguardo verso la luce stessa, non proverebbe dolore agli occhi, e non si volgerebbe per fuggire verso ciò̀ che può̀ guardare, non penserebbe che questo è in realtà̀ più̀ chiaro di quanto gli viene mostrato?”

E se “lo si portasse via con la forza, su per la salita aspra e ripida, e non lo si lasciasse prima di averlo trascinato alla luce del sole, non soffrirebbe forse, non protesterebbe per essere così trascinato? ed una volta giunto alla luce, gli occhi abbagliati dal suo splendore, potrebbe vedere una sola delle cose che ora chiamiamo vere? Al Profano-prigioniero, liberato dalle sue catene (dai suoi metalli) e portato in superficie e purificato tramite gli elementi, viene data in dono la Luce per vedere.

“Avrebbe dunque bisogno, penso, di assuefazione, per poter vedere le cose di quassù̀. Prima potrebbe osservare, più̀ agevolmente, le ombre, poi le immagini riflesse nell’acqua degli uomini e delle altre cose, infine le cose stesse”. Dopo l’assuefazione, il l’Apprendista non più prigioniero giungerebbe per gradi e per esperienza ad osservare gli oggetti sempre più luminosi, tramite i suoi sensi e l’intuizione, con un lavoro di esplorazione nella luce del giorno.

“Di qui potrebbe passare all’osservazione dei corpi celesti e del cielo stesso durante la notte, volgendo lo sguardo alla luce degli astri e della luna con maggior facilità che, di giorno, al sole e alla sua luce.” Nella oscurità della notte, quel Fratello, separato dalla caverna e iniziato al suo viaggio, osserverebbe gli astri e la luna, scorgendo e rimirando l’infinito e ritornando alla luce del sole con maggiore visione e chiarezza, grazie alla Ragione e allo Spirito

Una nuova trascendenza gli permetterebbe di “vedere” oltre ai misteri e percepire una Verità non raggiungibile eppure data, illuminata da una Luce eterna che rischiara il suo percorso di incessante perfezionamento massonico nella via del GADU.

L’allegoria platonica si conclude infine descrivendo il processo di ridiscesa (katabasis) del liberato al fine di esortare i prigionieri a compiere la sua stessa conversione alla luce, liberandoli dalle false credenze e dalle certezze infondate, affinché la luce della conoscenza possa dissipare le tenebre della loro ignoranza e sottrarre le loro menti dall’inganno di cui sono prigioniere, grazie alla Ragione e allo Spirito, attraverso il lavoro dell’intelletto e con l’intuizione per mezzo di simbolici strumenti.

“Ma se dovesse di nuovo discernere quelle ombre e disputarne con quelli che son sempre rimasti in catene, mentre vede male perché́ i suoi occhi non si sono ancora assuefatti, ciò̀ che richiederebbe un tempo non breve, non si renderebbe forse  ridicolo, non si direbbe di lui che, salito quassù̀, ne è tornato con gli occhi rovinati, e dunque non val la pena neppure di tentare l’ascesa? e chi provasse a scioglierli e a guidarli verso l’alto, appena potessero afferrarlo e ucciderlo, non lo ucciderebbero?” Tornato nella caverna, nessuno gli crederebbe, e, se li forzasse a guardare in su, a condurli verso l’alto per scorgere la stessa luce che egli stesso ha visto, lo ucciderebbero per impedirglielo.

Suoi simili, quasi fratelli, potrebbero quindi addirittura ucciderlo per ignoranza, per una sorta di fanatismo legato all’ambizione di detenere la verità, di una loro visione del mondo forgiata da volontà e rappresentazione, visione prigioniera di uno spazio oscuro rischiarato da una luce macchiata dalle ombre.
Ed è così che il percorso iniziatico del Libero Muratore ci riconduce all’unità nucleare di questa allegoria platonica composta da “separazione-iniziazione-ritorno”. E il (nostro) ritorno è il seguire la retta via per il Bene e il Progresso dell’Umanità e dell’Eggregore, anche nel vivere il mondo profano, laddove si possa e si debba (ri)cercare e trovare uomini liberi e di buoni costumi pronti ad accogliere la Luce e a percorrere la Via Iniziatica della nostra Tradizione. Ma non tutti desiderano abbandonare i propri metalli e le loro certezze. Non tutti anelano a “vedere” con chiara visione la realtà che si dipana dietro il loro velo illusorio.

E non tutti sono pronti a prestare la Promessa Solenne e a seguire il percorso iniziatico verso il perfezionamento di loro stessi. Giacché sappiamo, miei Fratelli, che svelando il tradimento della mente e l’inganno di ogni illusione, l’Iniziazione illumina le nostre esistenze massoniche di Vera Luce, al di fuori dalla caverna delle nostre ombre profane e al cospetto del Grande Architetto dell’Univers

   
   
   
   

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